I parametri per la liquidazione del danno morale da lutto e l’errata interpretazione del criterio della composizione del nucleo famigliare superstite
Sono svariati e numerosi i parametri di valutazione e i criteri in via equitativa che vengono utilizzati e valorizzati al fine di determinare l’ammontare economico della liquidazione del danno morale da lutto per il singolo congiunto in caso di decesso causato per responsabilità di un terzo.
In difetto di questi indicatori nel corso degli anni presi in considerazione dalla giurisprudenza per orientarsi all’interno della forbice dei valori dati dalle Tabelle del Tribunale di Milano, ormai quasi unico riferimento per la quantificazione di tale danno su suggerimento radicato dalla Corte di Cassazione, sarebbe sostanzialmente impossibile riuscire almeno in parte ad approcciare ad una previsione liquidativa.
Il risultato infatti sarebbe una assoluta imprevedibilità e aleatorietà demandata al singolo magistrato, senza alcun criterio di riferimento con la conseguenza che vedrebbe determinarsi nel concreto frequenti ed inaccettabili disparità di trattamento riconducibili esclusivamente alla sensibilità dei vari organi giudicanti senza alcuna garanzia di coerenza.
Analoghe conseguenze si riscontrerebbero nel contesto delle trattative stragiudiziali, che di fatto sarebbero impercorribili.

Tuttavia, pure nel contesto quanto meno degli indicatori richiamati, gli svariati criteri di applicazione che in ogni caso sono lasciati alla libera discrezionalità del giudice, ancora oggi e nonostante le indicazioni della Suprema Corte rendono la quantificazione del danno morale da lutto variabile e non determinata in modo univoco.
In ogni caso i principali fra questi criteri utilizzati in via più comune per determinare l’entità del danno sono sostanzialmente tre, ovvero l’età del deceduto, la convivenza oppure l’assenza della stessa tra il deceduto e il superstite, e la composizione del nucleo famigliare residuo.
L’analisi del presente parere riguarda il terzo di questi criteri, ovvero la composizione del nucleo famigliare.
Ad un primo approccio intellettuale potrebbe essere inteso come un criterio di equità che tiene conto delle componenti famigliari del deceduto per comprendere in modo approfondito e specifico le abitudini dei coinvolti e in parte l’intensità della affectio parentalis.
In tale caso, se questo fosse il corretto utilizzo del richiamato criterio, si potrebbe affermare tutta la condivisione e l’apprezzamento per l’analisi e la valutazione nel concreto della specificità di un nucleo famigliare in detto senso, e finalizzata alla più possibile congrua ed equa quantificazione del danno da sofferenza dei superstiti.
Tuttavia, nella realtà e nella prassi liquidativa sia in sede di trattativa stragiudiziale, sia a volte anche nelle motivazioni delle sentenze dei Tribunali, il criterio della analisi della composizione del nucleo famigliare, si riduce nostro malgrado, e a nostro avviso travisandone il significato, ad un mero computo di altri congiunti superstiti all’interno della famiglia che hanno lo stesso ruolo parentale e di valenza di rapporti che vi era con il deceduto.

Quanto sopra, arrivando ad affermare, dal nostro punto di vista in via quasi aberrante, che se il congiunto superstite beneficia della presenza all’interno del proprio nucleo famigliare di altro congiunto con un ruolo parentale analogo, l’intensità della sua sofferenza per la perdita è da presumersi inferiore.
Il risultato di quanto sopra è che spesso nel contesto della trattativa per il risarcimento del danno morale da lutto, per esempio la morte di un figlio, la controparte sostiene che la liquidazione per i genitori può essere ridotta nel caso abbiano altri figli, come parimenti può accedere per la liquidazione a favore del figlio nel caso di morte violenta di un genitore se l’altro è ancora in vita.
Trattasi a nostro giudizio di approccio inaccettabile, benchè a volte purtroppo valorizzato dalla magistratura stessa, atteso che non può esservi alcun riscontro empirico e di buon senso dettato dal comune “percepire” e “sentire” che possa fare ritenere che un padre soffra meno per la morte di un figlio poichè il deceduto aveva un fratello oppure una sorella, ovvero che la sofferenza di un figlio per la morte del padre sia lenita dalla presenza in vita della madre.

La presenza in vita di un altro figlio per un genitore in tali casi potrebbe in effetti potenzialmente essere motivo di diversa concentrazione delle sue sensazioni e delle emozioni che distraggono in parte dalla sofferenza per la perdita dell’altro, come per il figlio nel caso in cui sia ancora vivo l’altro genitore,
ma detta potenzialità, si limita a tale valenza ipotetica e null’altro, senza potere in nessun caso assurgere a valore presuntivo, che è alla base e fondamento dei criteri equitativi quali quelli che si utilizzano per determinare l’entità del risarcimento del danno morale da lutto.
Quanto sopra, in via contraria, trova per assurdo conferma nella circostanza che non è mai stata prevista una tabellazione dei danni morali da lutto con importi eccedenti in tale caso, a favore del superstite nel caso di commorienza di due congiunti che hanno lo stesso ruolo famigliare, come per esempio nel caso di morte improvvisa nel medesimo evento storico di entrambi i genitori per il figlio, oppure nel caso di morte nello stesso sinistro di tutti i figli per i genitori.